Monastero delle Clarisse "S. Antonio e B. Elena"

Presso il Santuario "S. Antonio al Noce" - Santuari Antoniani Camposampiero (PD) - Italia

 


Alberto Friso, Redattore Capo
 
Messaggero di Sant’Antonio, n. 11 – Novembre 2019
 
Cantare, amare
 
«Cantare è di chi ama, ma specialmente è di chi è amato» sintetizza Maria Francesca Pillon, clarissa della fraternità di Camposampiero (PD), nell’agile volumetto Cantare, scritto a quattro mani con il compositore e direttore di coro Gianmartino Durighello. Un titolo puntuale e fattivo che invita a guardare al canto come a una delle dimensioni esistenziali che percorrono ogni vita, e quindi di conseguenza ogni liturgia. C’è molta azione nel testo, ma c’è forse più contemplazione: una dose di «cantare» ogni due di «amare», come la frase sopra riportata plasticamente rivela.
 
Durighello firma la prima parte dell’opera, di taglio più antropologico e spirituale, immaginifico; vi si rincorrono scene, simboli e suoni, senza perdere la piacevolezza della lettura anche quando si scende nel tecnico. Con lo stesso incedere, suor Maria Francesca si addentra nelle specifiche della musica sacra e liturgica. Difficile che un lettore mediamente curioso non trovi pane per i suoi denti, tanti sono i rimandi e gli spunti offerti, che spaziano da Vita di un uomo di Ungaretti a Il Silmarillion di Tolkien! Infatti, nuovi sentieri di riflessione sono aperti dalle frequenti citazioni. Ne scegliamo una, di Sant’Antonio: «E risuona veramente una deliziosa sinfonia quando l’attività dei sensi è in accordo con il candore e la purezza dei pensieri».
 
Efficace infine la segmentazione in veloci capitoletti, con titoli evocativi anche da decontestualizzati: Ma Gesù cantava?; Il “non cantare” del tentatore; Il sacro silenzio. Già, nel testo c’è spazio pure per il silenzio, che è esso stesso musica (e per lo più sacra) perché, come ci insegnano gli autori, «il contrario della parola non è il silenzio, ma la distorsione della parola. Così il contrario di cantare non è tacere, bensì strepitare, distorcere, far rumore».
 

Matteo Cesarotto, gregorianista e musicologo

Perché cantare? Cosa cantare? Come cantare? Quando cantare? E a chi, o per chi? La sequela di domande potrebbe essere ben più lunga: il titolo affidato ad un verbo all’infinito presente (come richiesto, in modo programmatico, dalla collana Riti del vivere diretta da Barbara Marchica e Giulio Osto per Cittadella Editrice) lascia aperte numerose strade, almeno nella mente del potenziale lettore. E il libro scritto a quattro mani da Gianmartino Durighello e sr. Maria Francesca Pillon sembra percorrere tutte queste strade e molte altre alla luce del messaggio evangelico, abbracciando una visione d’insieme quanto mai ampia sul tema dato: Cantare.

Agli autori sono affidate le due parti in cui il testo è suddiviso (ancora una scelta di Riti del vivere che caratterizza tutte le pubblicazioni, edite e in preparazione). La prima parte, a firma di Durighello, risuona sulla soglia del tempio come «canto nuovo, canto dell’aurora», quando «non è più notte, ma non è ancora giorno» e pur attenendosi su un piano più marcatamente antropologico, cercando di sondare senza gravità le ragioni profonde del cantare, non rinuncia mai al valore spirituale ed esegetico, all’insegna della ricerca e della visione del Bello.

Dopo aver assaporato il canto nelle sua dimensione aurorale, ecco che la seconda parte, affidata a sr. Maria Francesca, varca le soglie del giorno e del tempio, coniugando il verbo “cantare” in ambito teologico e liturgico: senza avere la pretesa di essere un ennesimo manuale di musica per la liturgia, condivide nondimeno utili e preziose riflessioni per un più consapevole ministero musicale, seguendo le felici similitudini musicali del volto della Chiesa come «coro che adora il Padre» e del rito come partitura (con tanto di raddoppio in ottava, linea del basso, pause…).

In entrambe le sezioni si avverte poi in modo forte la componente esperienziale degli autori (compositore e didatta lui, musicista e clarissa di vita contemplativa a Camposampiero lei), ambedue generosi nella condivisione) che informa con eleganza la trattazione e la rende prossima a chi legge, tanto che si tratti di un neofita, che attraverso le pagine può essere introdotto con sicurezza al gusto del canto e alla bellezza del canto liturgico, o di un iniziato, che troverà utili elementi di riflessione, di arricchimento spirituale e anche validi strumenti operativi. Il tutto impreziosito da generosi riferimenti alla Scrittura, ai Padri, ovviamente al magistero della Chiesa e alla letteratura in senso lato.

Un libro agile, scorrevole eppure puntuale, non esasperatamente tecnico sebbene preciso, che non si compiace della propria narrazione e la cui lettura non si espone mai al rischio di incorrere nel cosiddetto «effetto Claudia Schiffer». Mai sentito nominare, questo «effetto»? È una curiosità che si può gustare solo assaporando la lettura di Cantare.


Camillo De Biasi 

Il valore del verbo “cantare”
IL LIBRO DI GIANMARTINO DURIGHELLO E SUOR MARIA FRANCESCA PILLON

Nelle afose giornate di questa estate, mi ha accompagnato la lettura e la meditazione di un libretto dal titolo semplice: “Cantare”. Traggo dal postludio (a pagina 141) alcune frasi di sintesi di tutta l’esposizione: “Cantare (non è più notte, non è ancora giorno) è dar suono all’aurora. Cantare qui oggi è memoria, è profezia: questo mio corpo che canta è sacramento, segno vivo del vero canto che è la carità. Cantare è portare a Dio il grido dell’uomo e all’uomo il sorriso di Dio. Cantare è scoprire di essere figli, è scoprire di essere fratelli riconciliati in Uno”.

Il volumetto è composto di due parti ricche di citazioni: la prima, affidata al maestro Gianmartino Durighello – docente al conservatorio Steffani di Castelfranco – “affronta il verbo ‘cantare’ su un piano ad ampio raggio antropologico e spirituale, non senza alcuni esempi pratici” legati alla sua esperienza di insegnante di coro. La seconda parte, affidata a suor Maria Francesca Pillon – monaca clarissa urbanista, diplomata in composizione e direzione di coro – “continua la riflessione portandosi sul piano rituale, liturgico, con la forza spirituale propria di una monaca di vita contemplat(t)iva!”.
Sarebbe bello che tutti coloro che cantano – sia solisti, sia coristi – si avvicinassero a queste pagine intense e, nello stesso tempo, illuminanti del
significato del verbo “cantare”. “Non è un manuale – commenta l’autore – anche se vi si possono trovare cose proprie di un manuale. Ma l’intento è diverso, è quello di dipingere il verbo cantare appunto nella sua rilevanza umana, spirituale e quindi rituale, attratti dal fascino
dell’universale bellezza di cui il canto è portatore”. Mi rivolgo a tutti i maestri di coro, soprattutto dei cori parrocchiali, liturgici: alla ripresa delle attività, sarebbe bello che prima di ogni prova si leggesse e si meditasse una paginetta di questo libro, reperibile alla Libreria del Seminario. Sarebbe un vero arricchimento per chi lo propone e per chi lo ascolta: donerebbe uno spessore umano e spirituale a questa attività bella e interessante della vita dell’uomo: “Così è cantare, per la sua originaria e universale bellezza. Una bellezza intrinseca che genera, alimenta e accoglie tutta la nostra vita. E la nostra vita si fa canto».

Copyright (c)2019 L' Azione, Edition 8/9/2019

 

 

 

 

Questo sito utilizza i cookie per migliorare servizi e esperienza dei lettori. Se decidi di continuare la navigazione consideriamo che accetti il loro uso.