Monastero delle Clarisse "S. Antonio e B. Elena"

Presso il Santuario "S. Antonio al Noce" - Santuari Antoniani Camposampiero (PD) - Italia

(Padova 1207 -1231)

 

L’Esperienza storica della b. Elena Enselmini va inquadrata nell’ambito degli inizi dell’avventura francescana. Ripercorrendone le fonti, scarse e perlopiù tardive – p. Bartolomeo da Pisa De conformitate vitae Beati Francisci del 1437 e Sicco Ricci Polentone che scrisse Beate Helenae monialis vita et miracula nel 1437 - non possiamo però non vedere quanto lei e le sorelle fossero impregnate del carisma di Francesco e della sua prima plantula sora Chiara. Anche lei ha scoperto nel Cristo povero e sofferente non solo il volto del Dio fattosi carne e quindi l’urgenza della sua sequela, ma anche ha potuto surgere dal carisma dei fondatori l’intuizione che ciò che sostiene la kenosi del Verbo è l’immensa libertà scaturita dal dono di sé che il Figlio di Dio ha fatto incarnandosi, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio Unigenito” (Gv 3, 16-18). Da qui l’esigente povertà e marginalità da lei vissuta ma anche la gioia e quasi l’ebrezza pur nelle pesanti malattie sostenute e nella giovane vita così consumata.

Nata a Padova nel 1207, non sappiamo molto della sua nobile famiglia, gli Enselmini. Non sappiamo nulla circa la sua infanzia né della formazione spirituale da lei ricevuta all’interno della sua famiglia. Venne descritta dal primo biografo secondo lo stile agiografico che la vede dedicarsi alla preghiera e alla devozione fin dalla più tenera età. Si può ragionevolmente ritenere che sia stata precocemente affascinata dai contenuti della predicazione francescana in Padova e dall’esempio di semplicità, umiltà e totale povertà offerto dalla vita dei frati minori. Il suo cambiamento di vita, indossando l’abito della penitenza avvenne in S. Maria della Cella (Arcella), la piccola e angusta abitazione per le dame recluse. Elena fu senz’altro tra le prime sorelle che hanno dato vita a questa comunità clariana; non sappiamo in che anno ha cominciato la sua esperienza religiosa sappiamo che senz’altro era nel fiore della giovinezza (morirà a soli 24 nel 1231). Inizi fervorosi che la vedono cominciare un cammino di penitenza, di preghiera, di solitudine. Non hanno, lei e le sorelle, modelli a cui rifarsi essendo il carisma francescano clariano ancora in via di sviluppo, non c’è ancora una tradizione a cui rifarsi. Nel quotidiano avranno inventato modalità che concretizzassero quanto apprendevano dell’avventura evangelica di Francesco d’Assisi e di sorella Chiara attraverso la predicazione dei frati minori. Sappiamo dalle fonti che abbracciò con grande entusiasmo la scelta di povertà proposta da S. Francesco e nonostante avesse una natura delicata, non si risparmiò alcuna indigenza sviluppando, anzi, un atteggiamento penitenziale molto intenso. Era spinta a ciò da un profondo amore per il Signore Gesù meditato soprattutto nella sua passione, tale vicinanza all’amato/amante l’ha resa sempre più una donna di preghiera, di prolungata preghiera, una contemplativa. Aveva anche una spiccata devozione mariana ed era solita leggere, gli inni della beata Vergine Maria Madre di Dio. Sarà proprio la beata Vergine Maria a rivelarle l’imminente grande prova tramite un’infermità prolungata e dolorosa.

 

La prova della malattia

“Elena, non vede il mondo, lo percepisce con cura, lo ascolta, lo assapora, ci insegna a trasfigurarlo”

 Secondo gli agiografi Elena si ammala verso i 18 anni. Forse di pleurite e di malaria data la presenza di forti febbri. Il suo fisico gracile e provato dall’ ascesi perse in breve tempo tante delle sue funzionalità. Uno stato di prostrazione che durerà quindici mesi e che la condurrà alla morte. Divenuta cieca e muta, e gravata da molti dolori alle articolazioni mantenne intatte, tuttavia, le facoltà mentali e l’uso dell’udito che le permise di comunicare con le sorelle che l’assistevano. Escogitò, a questo proposito, un sistema alquanto ingegnoso per farsi capire: faceva ripetere alle sorelle le lettere dell’alfabeto fino a giungere a quella che l’interessava. Le monache mettevano assieme le parole così composte, potendo capire quello che Elena voleva/doveva comunicare loro, dal che si arguisce come in comunità ci fossero persone colte in grado di fare questo servizio; molte sorelle provenivano infatti da famiglie aristocratiche che avevano provveduto a dar loro una buona istruzione. Non passa inosservato alle sorelle che l’assistono, la profonda comunione con Dio dell’ammalata, esse si avvedono che Elena gode stati mistici del tutto particolari, di estasi, di “visioni” che le viene chiesto di riferire. Lei vive tutto questo con naturalezza, in obbedienza a Dio e alla madre, preoccupata solo di non venire ingannata da suggestioni di altro genere, il che manifesta chiaramente il suo equilibrio fisico che la ancora alla vita concreta e non la estrania dal mondo, non la fa vagare fuori del reale ma anzi tiene vivo in lei il desiderio di comunicare con le sorelle tanto da chiedere a qualche persona santa che vede interiormente, la grazia di poter aver di nuovo l’uso della parola. Ma la sua supplica non verrà esaudita.

 

Le visioni

Quanto lei va faticosamente comunicando circa le sue esperienze mistiche, viene redatto dalle sorelle e conservato in un manoscritto. Il racconto delle visioni - stando a quanto si apprende da Mariano di Firenze, il quale trascrive da una fonte precedente, senza citarla -, è interessante perché ci aiuta ad avvicinarla, ad avvicinarci al suo mondo interiore. Il racconto delle visioni è così introdotto: in questa infermità dunque esteriormente era afflitta, ma interiormente con grande soavità e dolcezza riposava. Perché il benigno e misericordioso Iddio con le sue rivelazioni cominciò a consolarla, mostrandosi innanzi tutto in braccio a sua madre, la vergine Maria. La consolazione divina la raggiunge proprio dentro la prova, donandole di sperimentare la vita dei risorti mentre soffre con Cristo sulla croce.

Sono visioni legate ad alcune feste liturgiche e riguardano essenzialmente la vita dopo la morte; ad Elena viene fatto vedere il tormento delle anime all'inferno, la sofferenza di quelle in purgatorio e la gioia dei beati in Paradiso.

Il suo sguardo, mentre vede la condizione delle anime del purgatorio, è particolarmente attirato da chi è vissuto nello stato religioso, i cui vizi hanno contraddetto le promesse fatte a Dio: superbia, vanagloria, ipocrisia, mormorazione, detrazione e disobbedienza, rappresentato come un lago assai attraente, ma dalle acque puzzolenti. Su quest’ultimo peccato Elena si sofferma di più ritenendolo particolarmente grave in chi è chiamato a far propri i sentimenti di Cristo, che è stato obbediente fino alla morte. Elena sembra aver presente l’esempio e l’insegnamento di S. Francesco.

In alcune feste ella vede in spirito la Trinità e l’umanità di Gesù Cristo sedere nel santo tempio del cielo. Accanto al trono celeste Elena vede la Vergine Maria, gli apostoli, S. Giovanni Battista, i martiri, le vergini, i confessori, tra i quali per primo il beatissimo padre Francesco. L’intera visione riprende la descrizione della corte celeste dell’Apocalisse (cfr. Ap 4.5.7). Elena prosegue dicendo di vedere: (S. Francesco) con tutti i suoi frati e sore insieme mescolati, e non vide differenza alcuna fra gli ordini dei frati e delle sore. Emerge quindi, la consapevolezza dell’unica vocazione dei fratelli e delle sorelle come la descrive, d’altro canto,  il Celano: un solo e un medesimo spirito ha fatto uscire i frati e quelle donne poverelle da questo mondo malvagi. Questa espressione che il biografo riferisce a Francesco nel contesto del Memoriale è riferita soltanto a San Damiano. Se davvero quanto riferisce Mariano risale alla nostra beata, dobbiamo pensare che ancora vivente Francesco e subito dopo la sua morte (1226), nella famiglia francescana ci sia la tendenza a considerare i fratelli e le sorelle come un’unica famiglia. Sappiamo che al tempo in cui il Celano scrive, 1246 – 47, i frati cercavano di liberarsi dalla cura delle sorelle divenute troppo numerose. Se la presunta unità tra fratelli e sorelle venisse da Mariano, si dovrebbe ritenere che al tempo in cui egli scrive, inizi del Cinquecento, tale clima caratterizzi i francescani o, molto più probabilmente, i monasteri.

Il corpo incorrotto della B. Elena in visita al Santuario
S Antonio al Noce nel 2007, VIII Cent. della nascita

Elena nomina subito dopo la scena della corte celeste Gregorio IX che splendeva tanto quanto Francesco e aveva sei ali e su entrambe le braccia, attorno alle mani, sul petto e al posto del pastorale era insignito di splendidi ornamenti. La menzione di papa Gregorio IX nelle visioni della beata Elena, rilette da Mariano, (il Polenton nella Vita non fa cenno ad apparizioni di questo papa), ha portato a datare la morte della stessa nell’anno 1242 essendo deceduto tale pontefice, nell’agosto del 1241. Gregorio IX è sempre posto accanto e anche sullo stesso piano di Francesco, tale esaltazione si direbbe frutto di una precisa volontà da parte dell’autore. Nulla toglie comunque che la presenza del papa accanto a Francesco voglia significare l’amicizia con il poverello, come pure un legame con le donne recluse che –come abbiamo già visto più sopra - lui considera appartenere al suo Ordine.

Nell’ultima festa di S. Francesco che lei vede, troviamo il fondatore tra i suoi frati e le sue sore che gli fanno festa, compare anche Gregorio IX e Antonio che canta un inno al poverello chiamandolo nostra guida. Segue un’immagine molto bella in cui Elena vede nelle mani di Francesco un vaso pieno di liquore che le vien detto essere la dolcezza dell’amore di Dio, e che Francesco distribuisce ai frati e alle sore che lo invocano. Elena scopre come affidandosi allo Spirito Santo possa gustare l’amore divino riversato in lei (cf. Rm 5,5) e di cui è ricolmo Francesco. A lui anche si rivolge come ad un intercessore autorevole in vista di una comunione sempre più piena con Dio, con gli occhi fissi all’Amore Crocifisso.

Elena, dal poco che si conosce, ha realizzato in sé la dimensione comunionale della vita contemplativa: con il cielo, che le si è manifestato, con le sorelle e con i fratelli nel mondo raggiunti dalla predicazione dei frati che vivevano accanto al monastero e che avranno condiviso echi della loro missione.

 

La gloria

Negli anni successivi alla morte non fu avviato per Elena alcun processo di canonizzazione da cui risultasse l’excellentia virtutum, ma la sfida alle passioni, il disprezzo del mondo e l’unione mistica alle sofferenze di Cristo erano già gli aspetti eroici che emergevano supplendo, per così dire, alle formalità del processo; inoltre la singolarità del corpo senza segni di decomposizione era il preludio al “sepolcro glorioso” che, impreziosito dagli ex voto quale testimonianza di miracoli avvenuti, diventa l’immagine immediata di santità venerata. Gloria accettata, indiscussa sia dall’Ordine sia dalla Chiesa che, in determinati giorni dell’anno, ammetteva i fedeli alla visita del sepolcro consentendo che fruissero di indulgenze.

Da subito chiamata Beata dai fedeli, viene proclamata tale con la formula eccezionale definita beatificazione equipollente: nel 1689 fu iniziato a Padova un processo informativo terminato il quale gli atti furono passati all’esame della Congregazione dei Riti che, con decreto di papa Innocenzo XII del 29 ottobre 1695, riconobbe ufficialmente il culto per la beata Elena.

Nella sua città Elena ebbe una funzione determinante nell’essere intermediaria capace di intercedere per una umanità che a lei si rivolgeva fiduciosa.

Ella finalmente riposa nel Santuario dell'Arcella a Padova, sul sito dell'originario monastero in cui visse la Sua totale donazione al Cristo, suo Signore.

 

 Fonte: © Clarisse Camposampiero

 

 

 

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